E' poco prima di mezzogiorno del 10 agosto 2000 quando Giacinto Auriti esce dal portone di casa scortato dagli uomini del contingente interforze che ha "assaltato" Guardiagrele per sequestrare i SIMEC. La folla che lo attende gli si stringe intorno per acclamarlo. Lui si sorprende prima, poi si commuove. E subito rassicura la folla facendola protagonista: " Abbiamo acceso la scintilla della rivoluzione guardiese. Non vi preoccupate, ricominceremo. Da Guardiagrele la rivoluzione ".  
Aveva questo sogno Don Giacinto, cambiare la storia, non secondo i propri criteri, ma col diritto e la giustizia ispirati dalla Verità. Voleva costruire una società cristiana che ponesse al centro l'uomo e non il denaro e l'usura, che come regola prima avesse il dare invece che il prendere.
Questa era la regola del borsino SIMEC, contraria a quella del sistema bancario internazionale. Per questo sul SIMEC,  risaltava la spiga di grano, come simbolo dell'Eucaristia: pane di vita donato per la salvezza di tutti, che da la vita al mondo.

Per questo Don Giacinto parlava di " cristianizzazione " della moneta e affermava il principio del " tutti proprietari " proprio dell'enciclica Rerum Novarum e diceva: " Esiste qualcosa che è dovuta all'uomo perché è uomo " (Centesimus Annus). Non valeva più quindi il " presta al povero " della legge mosaica ma il " dà all'uomo " del cristianesimo. Perciò Auriti ha combattuto chi ha utilizzato l'emissione e la circolazione monetaria non per dare ma per prendere.

Il Cardinale Joseph Ratzinger nello storico convegno " Capitalismo e Diritto Sociale ", da Auriti organizzato nel giugno 1991 a Teramo, nell'aula magna di Giurisprudenza, pur dichiarandosi non competente nello specifico giuridico della proposta auritiana, ne elogiò la piena conformità allo spirito della dottrina sociale della Chiesa.
Negli anni seguenti tra i due ci furono diversi contatti e una sera a Guardiagrele, era il 1997, Don Giacinto confidò ad un suo amico: " Se vado avanti così è perché la Chiesa mi ha incoraggiato ".
Del resto l'enciclica Quadrassimo Anno non poteva essere più chiara nel definire " funesto ed esecrabile l'internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro "; e ancora " questo potere è esercitato più che mai dispoticamente da quelli che, tenendo in pugno il denaro, lo fanno da padroni, dominano il credito e concedono i prestiti a chi vogliono, onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso di cui vive l'organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l'anima dell'economia; sicché nessuno contro la loro volontà potrebbe nemmeno respirare ".

Ogni giorno Don Giacinto iniziava la sua battaglia prendendo forza dall'Eucarestia, alla quale si accostava con lo " sguardo semplice di un bambino ". Egli era consapevole che la storia la conduce " Chi rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili ", come recita Maria nel Magnificat. Perciò ha potuto condurre impavido la sua battaglia contro i padroni del mondo, da uomo libero, serenamente, pieno di gioioso entusiasmo, pur pagando, anche duramente, ed in prima persona.
L'azione del magistrato che dispose il sequestro dei SIMEC venne da lui commentata con divertita ironia: " questo magistrato è degno di essere ricordato per aver introdotto il seguente principio giuridico: chi attua una scelta a favore del popolo, senza alcun fine di lucro, deve essere perseguito penalmente ". E' finita nel nulla, invece, la denuncia contro il Governatore della Banca d'Italia in cui Auriti ha voluto ipotizzare, oltre al reato di associazione a delinquere, di truffa aggravata e falso in bilancio, il reato di istigazione al suicidio, perché riteneva le banche centrali colpevoli di quella terribile malattia sociale che è il suicidio da insolvenza. Quante aziende andate fallite, famiglie in povertà, uomini che si sono tolti la vita perché la "grande usura" presta il dovuto e se lo fa pagare caro.

Indisturbata, padrona di determinare la vita o la morte degli uomini come delle nazioni. Era un uomo dallo sguardo puro, senza pregiudizi, che a tutti (tranne che ai grandi usurai) riconosceva sincerità e buona fede. Non gli importava se chi gli stava vicino era mosso dall'amicizia o dalla condivisione degli ideali, oppure da interessi personali. Proprio non se lo chiedeva, perché tutto è puro per i puri. Anche questo faceva parte della sua grandezza ed anche dei suoi limiti. Il tornaconto gli era cosa sconosciuta. Perciò non poteva essere un bravo imprenditore, ne nell'azienda di famiglia, ne nell'Università da lui fondata, neanche per se stesso. Ma anche per questo era una persona speciale.
A tutti ha dato la lezione più alta, quella della gratuità.

La Libera Facoltà di Giurisprudenza stava muovendo ancora i primissimi passi quando alcuni professori di altre Università, da lui chiamati per costituire il corpo docente, iniziarono a premere per accedere alle massime cariche accademiche. Giacinto Auriti in una riunione si alzò dalla poltrona e con gesto sincero ed eloquente la offrì agli interlocutori.
Questa la testimonianza di un suo collega presente anche lui in quell'incontro: " Che dire di Auriti? Un gentiluomo! ". Fu più volte pro-rettore dell'Università D'Annunzio e preside di Giurisprudenza. In tanti sono vissuti alla sua ombra; eppure, soltanto due anni dopo il suo collocamento a riposo, i suoi manuali non figuravano più fra i testi adottati dall'Ateneo. Era una persona veramente libera che ha educato alla libertà. In apertura dei suoi corsi così avvertiva gli studenti: " Avete il dovere di conoscere quanto i professori vi insegnano, ma non dovete necessariamente crederci ". Non gli interessava il potere, quello da scalare, ma combatteva i potenti che invece di servire si servono degli uomini. . . . . 

Stefano Bucceroni

Tratto dal  Periodico del Centro Internazionale Studi Celestiniani  Settembre 2006